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Nel banner particolari di: Xeroritratto di Bruno Munari; Munari 1966, fotografie di Ada Ardessi, Biennale di Venezia courtesy ISISUF Milano; Munari 1950, fotografia di Federico Patellani; Munari con Macchina Inutile 1956, fotografia di Aldo Ballo
 
 
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B. Munari, cover Linea Grafica luglio - agosto 1954

V. Viganò, Munari et le mouvement, in Aujourd'hui n.4 settembre 1955

Catalogo della mostra personale Bruno Munari. Opere 1930-1988, Villa Laura, Cerneglons (Udine), 1988

E. Parodi Bruno Munari. La casa nella casa Casa Arredamento Giardino n. 33/1973

B. Munari Fotografie col pennello Fotografare n. 8 Febbraio 1942

K. Yamaguchi Buongiorno! Bruno Munari Mizue n. 73 May Tokyo 1965

S. Takiguchi a silhouette of Bruno Munari Graphic Design n.3 Tokyo 1960

Bruno Munari Ricostruzione teoriche di oggetti immaginari, Milano 1956

Bruno Munari in Who’s who in graphic art, Zurigo 1962

Bruno Munari, Sotto vetro, Grazia, 5 novembre 1949

Intervista a Silvana Sperati, 2 gennaio 2022

Bruno Munari, Vienimi a trovare presto, abito alla terza magnolia, Corriere della Sera, 5 febbraio 1980

Bruno Munari, Proiezione diretta e a luce polarizzata, in Rivista Internazionale d'Illuminazione 1961

Carteggio Enrico Baj per la realizzazione di una antologica a Milano da dedicare a Munari (zip file 3 Mb)

Réalités Nouvelles, numéro 5 juin 1951 Paris

Catalogo Le persone che hanno fatto grande Milano: Bruno Munari marzo 1983, Milano

Invito per la mostra Libri Illeggibili, Libreria Salto Milano, 1950

Società Italiana del Linoleum, Applicazioni del linoleum per rivestimenti di mobili e parti, Milano, 1936

B. Munari, Movo Modelli Volanti e Parti Staccate Catalogo Movo 1937

B. Munari, Le possibilità espressive formali e cromatiche sperimentate nella stampa della pellicola cinematografica Ferrania 1966

Depliant personale Galleria Nomen Barcellona 1982

B. Munari, Il cinema di ricerca, Gli oggetti a funzione estetica Firenze, 1969

Madornale apparecchio per ottenere la luce, Humor nel mondo, Milano 1949

Invito alla mostra Xerografie Originali, Galleria Serendipity, Roma 1968

S. Fukuda, Y. Yonekawa, Xerography. Bruno Munari's Originals in Graphic Design n.20 1965

L. Vergine, Arte Cinetica in Italia Conferenza Galleria Nazionale d'Arte Moderna Roma 11 marzo 1973

C. Campanini, Dalle macchine inutili alle sculture da viaggio La Repubblica 9 gennaio 2019

A. Tanchis, Le interviste di AD: Bruno Munari, AD aprile 1982

P. Antonello, Le lezioni americane di Bruno Munari Doppiozero 2018

B. Munari, La scoperta del quadrato, a cura del centro P.R. della Mobili Mim, Roma 1962

Sculture da viaggio di Munari, La Notte 19-20 giugno 1958

B. Munari, Pittura, Humor nel mondo 15 agosto 1949

Intervista a Munari, fondo Rinascente - Università Bocconi, 21 maggio 1981

B. Munari, Fantasia materia prima in Tempo 20-27 febbraio 1941

B. Munari, L'arte è una in Tempo 4-11 marzo 1943

R. Carrieri, Munari si diverte in Tempo 27 marzo - 3 aprile 1948

B. Munari, Supplemento gesticolato al dizionario italiano in La Domenica del Corriere 10 agosto 1958

F. Caroli, Munari: sassi carta e un mondo di meraviglie, in Corriere della Sera 20 luglio 1979

B. Munari, Fermare l'immagine, in Tempo n. 206, Milano, 6–13 maggio 1943

D. Buzzati, Il folletto Munari – Quarant'anni di nuove idee, Corriere della Sera, 22 ottobre 1971

Film Festival organizzato da Pontus Hulten: Proiezioni di Munari al Moderna Museet di Stockholm nel 1958

Depliant della mostra collettiva a Krefeld nel 1984

D. Buzzati, Ha fatto un libro strappando le pagine, in Corriere d'Informazione 10 dicembre 1955

Concavo e Convesso, in Domus ottobre-dicembre 1947

B. Munari, Manifesto dei multipli, Centro operativo Sincron, Brescia, 1968

B. Munari, Manifesto dei multipli, Centro operativo Sincron, Brescia, 1970

B. Munari, Guerra e Pace - Si cammina così - Sentirò la mia voce al telefono, in Humor nel mondo n°1, Giugno 1949

G. Kosice, Las búsquedas experimentales de Munari, in Geocultura de la Europa de hoy Ediciones Losange, Buenos Aires, 1959 (espanol)

B. Munari, Tanti saluti con fantasia, in Stampa Alternativa Roma 1987

R. Carrieri, Munari illusionista degli spazi, in Natura nov-dic 1932

B. Munari, L'Abecedario di Munari, Stile Robinson, Una casa a Fiumetto in Stile n. 30 Giugno 1943 Garzanti Editore

Marylin McCray, Catalogue Electroworks (excerpts), International Museum of Photography & Film, George Eastman House Publisher, Rochester N.Y., 1979

B. Munari, La grafica tridimensionale di Max Huber, in Design n. 4, Bergamo 1975

Bollettino del MAC N.1 - Oggetti Trovati

B. Munari, Belle e Brutte, in L'Automobile - marzo 1967

B. Munari, Surrealismo. E’ un film di Grandi Firme, in Le Grandi Firme - giugno 1938

B. Munari, Diagramma, in Orpheus - dicembre 1932

M. Datini jr., Notizie delle arti, in Le Arti luglio -agosto 1970

B. Munari, Dall'individualismo al collettivismo, in Arte Centro Milano, aprile - giugno 1975

Gruppo Q, Munari. Spazio Abitabile, Stampa Alternativa, Roma, 1999

C. L. Ragghianti, in Catalogo della mostra Ricerche visive, strutture e design di Bruno Munari La Strozzina, Palazzo Strozzi, Firenze, 1962

Bruno Munari, Astratto e concreto, in Catalogo della mostra Arte concreta, 9-24 aprile 1983, Palazzo del Ridotto Cesena, Ed. Industria Litografica SILA, Cesena 1983

M. Perazzi, Questo è il mio segreto, non mi arrabbio mai, in La Domenica del Corriere 26 marzo 1983, n.13 anno 1985

A. Segàla, Bruno Munari, in Epoca 28 novembre 1986, Milano, pp. 88-92

A. Linke, Bruno Munari: le regole del genio, in Frigidaire 1987

A. Nosari, Ansia di velocità, in L'Ala d'Italia 1 ottobre, 1938


 
Macchine Aritmiche


 



macchina aritmica anni '50
priv. coll.

A partire dagli anni '30 la lezione di Mondrian funge da importante stimolo intellettuale per Bruno Munari, sia nella genesi delle macchine inutili, dove elementari figure geometriche a tinte piatte vengono messe in movimento nello spazio, sia nella creazione, durante gli anni '40, delle pitture denominate negativi-positivi, dove la lezione del maestro olandese, in base alla quale lo spazio della pittura viene sezionato in modo asimmetrico, seguendo una poetica che nella cultura orientale e zen ha molti riferimenti, viene in qualche modo reinterpretata.

Munari alla lezione delle ortogonali di Mondrian, (avevo le ortogonali di Mondrian dentro di me), propone in alternativa la scomposizione dello spazio della pittura per mezzo di una linea che non è più di contorno o di disegno di forme, ma è linea di confine tra le parti, è una linea di segmentazione ambigua del piano, in grado di far svanire i concetti tradizionali di figura e fondo, scomponendo lo spazio in modo che sia l'occhio dello spettatore a decidere, di volta in volta, cosa portare in evidenza.

Anche in questo caso vi sono riferimenti espliciti alla cultura orientale, si pensi al simbolo di Yin e Yang.

La ricerca alla base delle pitture negative-positive è importante non solo perché rappresenta il punto di arrivo finale di una attività perlomeno decennale che ha origine nell'osservazione di forme caratterizzate da un'ambiguità percettiva, ma anche perché è la risposta, di tipo propositivo, ad un arte concretista che dopo la lezione dei grandi maestri degli anni '20 e '30 rischia con il passare degli anni di non riuscire a progredire, aggiungendo novità significative al linguaggio visivo.

Che questa ricerca sia un punto di arrivo lo dimostra anche il fatto che Munari abbandona il mezzo della pittura fino a metà degli anni '70 quando riparte con il ciclo di opere basate sull'uso della curva matematica di Giuseppe Peano (1858-1932).

Munari capisce che la ripetizione priva di originalità e di fantasia di un certo astrattismo costruttivo-concretista rischia di essere una strada senza uscita, a lungo andare, un vicolo cieco.
In questo senso Munari non si irrigidisce mai sulle posizioni teoriche di un astrattismo puro, tutt'altro, Munari si preoccupa di portare l'arte nell'ambiente (prima con le macchine inutili dal 1930 e poi con l'installazione concavo-convesso del 1947) o di sfruttare la casualità che, analogamente a quanto avviene in natura dove essa incide nella crescita delle forme organiche, viene utilizzata per demolire un rigore talvolta troppo razionale.

Nel caso dei suoi mobiles l'aria si materializza, si fa vedere (concetto sul quale l'autore ritorna a più riprese, in particolare nella performance del 1968 intitolata per l'appunto far vedere l'aria), e la forza che l'aria può imprimere, benché minima, viene sfruttata per la generazione di movimenti casuali.

Nelle pitture proiettate e polarizzate è la luce ad essere scomposta in modo da generare un continuum cromaticamente casuale di pitture, immateriali e monumentali allo stesso tempo, ottenendo il massimo effetto con il minimo sforzo.

Nel caso delle aritmie l'energia elastica di una molla, soprattutto se consunta e logorata dall'uso, serve a generare un movimento incostante, casuale, necessario a rompere la monotonia di una rigida programmazione cinetica.

La regola e il caso: Munari sintetizza in uno slogan (si veda il testo qui a fianco) la formula necessaria a distogliere l'arte, in particolare l'arte astratta concreta, da una freddo rigore algoritmico che induce molti artisti, anche molti dei compagni di viaggio del M.A.C., a ripetersi con pitture destinate ad un inutile decorativismo.

L'arte e la fantasia, la progettazione e l'imprevisto, sono due opposti fondanti che spingono molti artisti negli anni '60, proprio a partire dalla lezione munariana, ad indirizzarsi verso la creazione di oggetti di arte cinetica in cui il caso è una variabile determinante del progetto.
Munari ci aggiunge una punta di ironia, quanto basta a de-mitizzare l'arte e la creazione artistica, demolendo, ancora una volta, come già ha fatto negli anni '30, tanto da infastidire Marinetti, il mito futurista della macchina.

La macchina di Munari infatti è costruita a partire dal recupero di reperti tecnologici che vengono trasformati (un meccanismo di sveglia, un filo di acciaio inossidabile, una pallina di bachelite, una molla, ecc), ed è resa un poco umana dal comportamento buffo, ottenuto dal movimento casuale di alcuni suoi componenti.



macchina aritmica anni '50
priv. coll.

La macchina aritmica quale opera d'arte unica è un oggetto che implica l'interazione attiva del pubblico; in particolare è previsto il caricamento di un meccanismo a molla, necessario a generare quella forza elastica, che una volta rilasciata secondo un opportuno dosaggio di irregolarità, è in grado non solo di mettere in movimento l'opera stessa, ma anche di renderne unico e, tramite appositi ostacoli frenanti, casuale il comportamento.
Un comportamento caratterizzato da un movimento agitato e goffo che consente alla macchina-oggetto di offrire di sè uno spettacolo che non è esagerato definire, fino agli ultimi sussulti finali, quasi vitale.

Nelle recenti esposizioni il funzionamento delle macchine aritmiche è inibito allo spettatore dal riguardo necessario a conservare e preservare intatte, data la loro importanza culturale storica, le opere in questione.
Ai fini di una comprensione del comportamento delle macchine aritmiche è utile e didattica la visione di un cortometraggio, della durata di 5 minuti, realizzato dall'artista fotografo Davide Mosconi nel 1986 dal titolo Aritmie meccaniche in cui, nelle immagini che scorrono e nei suoni catturati, c'è ben rappresentata tutta la poetica, la leggerezza, lo humor del pensiero munariano.

A differenza di quanto si è portati a pensare, dopo una prima analisi, pochi sono i tratti in comune delle macchine aritmiche con le opere di Jean Tinguely, che trova in Munari, come da lui stesso riconosciuto, un maestro indiscusso.

E' Munari stesso ad organizzare a Milano, nella sede dello Studio B24, a disposizione per le mostre del M.A.C., la prima personale di Tinguely a Milano.
A Milano l'artista svizzero arriva con una macchina priva di fondo che, divertendo Munari, offre la visione diretta dei meccanismi di funzionamento e trasmissione dei comandi al motore, un espediente molto affine all'umorismo delle famose macchine, pubblicate da Munari nel 1942 per Einaudi in uno dei suoi primi libri per bambini.
Munari regalerà a Tinguely due delle sue più riuscite e rappresentative macchine inutili degli anni '30, inserendo allo stesso tempo l'artista svizzero nella propria collezione privata, assieme a Kandinsky, Balla, Arp, Magnelli, Prampolini, Schawinsky ed altri, collezione esposta nel maggio del 1957 in un curioso parallelo con la collezione privata di Lucio Fontana alla Galleria Blu.

Ricostruiamo brevemente l'atmosfera di questo incontro riportando alcune affermazioni rilasciate da Gillo Dorfles in una intervista ad Alberto Fiz (Catalogo Tinguely e Munari. Opere in azione, Mazzotta, Milano 2004).

G. Dorfles: Anche Tinguely ha fatto parte, sia pure per un breve periodo, del Mac, tenendo conto che nel dicembre 1954 ha esposto, su indicazione di Munari, allo Studio d'Architettura B24 di Milano in una significativa mostra dal titolo "Automates, sculptures et reliefs mécaniques de Tinguely". Detto questo, il concetto della macchine di Tinguely è opposto, anche se complementare, a quello di Munari. L'artista italiano, con le sue Macchine inutili ha realizzato delle antimacchine, metafora concettuale della macchina. Lui, infatti, ha sostituito l'utilitarietà con un meccanismo apparente, virtualizzato, secondo un procedimento nel quale rientrano anche i libri illeggibili, libri virtuali che vengono meno alla funzione del libro. Diverso è il discorso per Tinguely, più scultore di Munari, che ha creato dei veri e propri meccanismi, sia pure assurdi e completamente gratuiti.

A. Fiz: Tinguely è giunto a Milano giovanissimo, quando non aveva ancora trent'anni. Che tipo di accoglienza ebbe la sua mostra?

G. Dorfles: L'artista svizzero era un emerito sconosciuto e la mostra, come del resto tutte le mostre del Mac, erano visitate da pochi specialisti e soprattutto venivano regolarmente stroncate dalla stampa ufficiale, in particolare dal critico ufficiale del “Corriere della Sera”, Leonardo Borgese che, pur essendo un uomo molto intelligente, era legato a schemi di arte tradizionale.




macchina aritmica anni 1980
priv. coll.



   

Disegno di macchina-arte N. 1, pubblicata sul bollettino n. 11 del MAC 1953.
Si tratta della macchina inutile a giostra, nota anche come sbatacchione

Le prime macchine aritmiche sono datate 1951, ma vengono esposte solo alcuni anni più tardi in importanti mostre collettive, in particolare, su richiesta del critico Pontus Hulten estimatore del lavoro di Munari, al Kaiser Wilhelm Museum di Krefeld nel 1960 (Multiplizierte Kunstwerke), allo Stedelijk Museum di Amsterdam (Bewogen Beweging), al Moderna Museet di Stoccolma (Rosele I Konsten) ed al Louisiana Museum di Humlebaek (Danimarca) nel 1961, ed infine al MoMA di New York nel 1968, nella famosa mostra The Machine as Seen at the End of the Mechanical Age, curata appunto dal critico svedese.

Le macchine aritmiche create negli anni '50 non sono molte, ma queste opere d'arte testimoniano un lungo processo intellettuale teso al raggiungimento di una sintesi teorica tra la necessità di darsi delle regole generative e, dall'altra, l'esigenza contrastante di rompere la regola, introducendo come elemento aleatorio una elementare forza elastica.

Il dualismo degli opposti compare molte volte nel pensiero munariano, persino nella denominazione stessa delle opere, si pensi ai negativi/positivi, al concavo/convesso, ai libri/illeggibili, alle xerocopie/originali.
Munari utilizzerà lo schema duale regola/caso anche nella progettazione industriale. Chiamato in qualità di consulente da una azienda produttrice di tessuti Munari si imbatte in un errore che non solo non corregge (lo sgocciolamento casuale di un acido che fuoriesce a causa di una rottura da un tubo), ma che al contrario introduce in modo organico in un ambiente di produzione, allo scopo di decorare in modo mai ripetitivo rotoli di stoffe.
In questo modo la produzione industriale viene resa unica introducendo nel sistema, anziché eliminarlo come difetto, una anomalia.

L'idea, in apparenza banale, nasce dalla comprensione teorica che solo dall'equilibrio tra l'evento casuale (in altri contesti intellettuali, lo stimolo della fantasia) e la programmazione (la razionalità del pensiero) si ottiene il massimo di espressività, quel dinamismo di forze opposte che è forse la costante di maggior rilievo in tutta l'opera dell'autore fin dai tempi della sua giovane partecipazione al futurismo.

In una intervista rilasciata a Claudio Cerritelli (Dialogo a proposito del rapporto tra arte e scienza, in Catalogo della mostra Elettronica, Università di Bologna, 1992) Munari chiarisce che [...] quello che fa scattare la scintilla credo che sia in molti aspetti la casualità perché quando la casualità incontra la cultura allora possono nascere cose nuove sia nella scienza che nell'arte. Per esempio: di tante mele cadute sulla testa delle persone, soltanto la mela caduta sulla testa di Newton ha incontrato un tipo di cultura che ha fatto nascere una domanda precisa, (perché le mele cadono verso il basso e non di lato) e quindi s'è scoperta la legge di gravità.
Il caso è dunque una condizione per molti aspetti indispensabile perché è fuori dalla logica. Con la logica, e quindi con la tecnologia, si può provare qualche cosa che già si pensa che ci sia, mentre con l'intuizione, con la fantasia e con la creatività, grazie anche a questa casualità che gli orientali chiamano zen, c'è un contatto con la realtà diverso che permette di scoprire altre qualità che non portano ad un risultato pratico ma conoscitivo.


Un'opera chiave, per la comprensione della genesi della teoria basata sull'equilibrio dei contrari, è la macchina inutile a giostra, nota anche con il soprannome di sbatacchione. Si tratta di un'opera iniziata, come documentano alcune fotografie, negli anni '40, ma presentata nella sua forma finale solo nel 1953.

Non bisogna lasciarsi ingannare dalla denominazione di macchina inutile, perché spesso le definizioni in Munari sono sfuggenti e volutamente ambigue, poché quest'opera è a tutti gli effetti una macchina che con il tempo e le opportune modifiche è diventata aritmica.

Inizialmente costruita sulla base di un motore per grammafono viene a più riprese ri-progettata (per anni rimane allo stato di studio) allo scopo di eliminare il funzionamento rotatorio costante del meccanismo, noioso proprio perché privo di irregolarità.

Munari introduce nella parte alta della macchina dei bracci a cui sono legati, quasi come foglie, dei ritagli metallici specchianti, mentre nella parte bassa sono appesi dei rettangoli metallici che girando sbattono contro la base a treppiedi della macchina stessa, provocando quel comportamento anomalo e divertente, da cui il nome di sbatacchione.

Gli inserti metallici provocano inoltre una scomposizione ed una riflessione dell'ambiente circostante offrendo, durante il movimento della macchina, un ulteriore stimolo visivo di coinvolgimento dell'ambiente.

Si ricordi a latere che Munari concepisce le sue macchine sempre in rapporto all'ambiente, analogamente a quanto avviene con le macchine inutili; allo stesso modo anche la macchina-aritmica è da intendersi sempre come installazione, collocata in uno spazio che è spesso popolato di movimenti reali e virtuali, riflessioni e rifrazioni, effetti antropomorfi, sonori ed umoristici.



Fotografia di macchina aritmica accanto al prototipo di Ora X del 1945, pubblicata sulla rivista La civiltà delle macchine 1953

Dal testo: La posizione di Munari nei riguardi dell'arte moderna appare più significativa se si pensa che il "Movimento Arte Concreta", di cui egli è animatore, si propone di far diventare qualsiasi macchina un'opera d'arte.

Lo humor diventa per l’autore non solo il mezzo attraverso il quale suscitare il sorriso nello spettatore e allo stesso tempo stimolarne il pensiero, ma anche lo strumento per mezzo del quale verificare sul campo la riuscita delle proprie intenzioni poetiche.

Mentre la tecnologia diventa sempre più invasiva del nostro modo di essere nel mondo e di interagire con la natura, attraverso un rapporto sempre mediato da strumenti tecnologici, Munari teorizza, non senza la consueta ironia, che bisogna fare arte con le macchine, ed allo scopo redige, attraverso una formula in cui l’aspetto ironico non è facilmente separabile dalle posizioni teoriche, una serie di Manifesti.

Su uno dei bollettini pubblicati dal M.A.C. (il bollettino n. 10 del 1952) Munari pubblica il Manifesto del Macchinismo, Manifesto dell’Arte Totale, il Manifesto del Disintegrismo, il Manifesto dell’Arte Organica.
Queste posizioni teoriche vanno lette, come ha sostenuto recentemente Gillo Dorfles in una intervista (in Giorgio Maffei, MAC Movimento Arte Concreta Opera Editoriale, Sylvestre Bonnard, 2004) attraverso il filtro de-potenziante dell'ironia.
I manifesti con la loro retorica ci ricordano il fervore futurista, ma ci aiutano anche a sorridere ed ironizzare della moda dei manifesti teorici, così frequenti fino alla fine degli anni '60 nel mondo dell'arte, e alla cui redazione spesso si contrappone un esercizio di stile molto differente da quanto espresso nelle intenzioni programmatiche.

Ho già detto altre volte (sono l’unico a dirlo, ma credo di poterlo dire) che questi “manifesti dell’arte” sono una presa in giro, assolutamente.
Munari li ha fatti espressamente per prendere in giro la seriosità dei vari manifesti nucleari, spaziali, ecc. Non per inimicizia ma proprio per il suo spirito un po’ goliardico e irriverente. Lui ha fatto personalmente i manifesti come presa in giro. Poi naturalmente, come sempre succede, c’è chi li ha presi un po’ troppo sul serio e ha costruito sugli stessi delle ipotesi che non hanno nessuna verosimiglianza.
(Gillo Dorfles)

L’obiettivo di Munari non è tanto quello di trasformare le macchine in uno strumento di produzione estetica, ma quello di fornire uno sguardo divertito sul nostro futuro tecnologico che si delinea sempre più animato da strumenti intelligenti, quasi dotati di vita propria.

Anche nelle macchine aritmiche, come nelle opere d'arte denominate fossili del 2000, dove alcuni componenti tecnologici sono affondati in una resina sintetica di colore giallastro (analogamente a quanto avviene per certi insetti fossilizzati e conservati nell'ambra), i residui del nostro mondo tecnologico sono assemblati ed utilizzati come metafora della obsolescenza e della velocità delle mutazioni tecnologiche dei nostri tempi sempre più accelerati.

Le macchine aritmiche ballano, si scuotono, sussultano, sembrano vivere e morire, ci divertono e allo stesso tempo ci sorprendono ricordandoci che le macchine a cui dedichiamo quotidianamente tutte le nostre attenzioni, hanno vita finita sempre più breve, consumate in un attimo, rese precocemente inutili dalla velocità dei cambiamenti che l'era dell'informazione ci impone: umanizzate ci ricordano che siamo anche noi, almeno in parte, in questa condizione.





   

macchina a giostra 1940-1953
Struttura in ferro, meccanismo di grammofono a molla, fogli di alluminio piegati, altezza 113 cm
priv. coll.




Una delle prime macchine aritmiche del 1952, esposta nella mostra curata da Pontus Hulten al MoMA di New York nel 1968 dal titolo The machine as seen at the end of the mechanical age.

Vedi la scheda dedicata a Munari in catalogo
Nella scheda vi sono alcuni errori banali: Munari non è nato nel 1917 ma nel 1907.

Una riproduzione di questa opera è stata utilizzata nel manifesto della mostra collettiva Als Bewegung in die Kunst kam al museo di Krefeld nel 1984. L'opera è nella collezione del museo tedesco.


La regola e il caso

Come il giorno e la notte
la regola e il caso sono due contrari
come la luce e il buio
come il caldo e il freddo
come i negativi e i positivi
come il maschile e il femmnile.
La regola dà sicurezza
il caso è l'imprevisto
con la regola si può organizzare un piano
il caso dipende dal momento
le gocce della pioggia
la forma di un sasso
la simpatia.
La regola da sola è monotona
il caso da solo rende inquieti.
La combinazione tra regola e caso
è la vita è l'arte è la fantasia
l'equilibrio.


B. M.




macchina aritmica 1951
Collezione privata
Courtesy Galleria d'arte Niccoli, Parma





macchina aritmica 1950
priv. coll.







complicating is easy, simplifying is hard
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Last Update: 29 March 2024 09:22:46